L’Alta via del Lario (AVL) è una classica del trekking, una classica da fare su tre giorni che forse subisce un po’ la vicinanza con un’altra classica del trekking a tappe come il Sentiero Roma, vero catalizzatore di escursionisti. Dalla sua l’AVL può vantare dei panorami svariate volte brulli e selvaggi, che sanno sconfinare spesso nell’intimo, regalando scorci panoramici di alta montagna con il Lago di Como a fare da cornice.
Sono molto affezionato all’AVL, sarà perché esse sono un po’ le montagne di casa, sarà perché amo quando la montagna è sgombra “dal traffico” dei trekking a mo’ di pellegrinaggio (passatemi la descrizione un po’ inventata), fatto sta che l’AVL ha tutto quello che serve: panorami mozzafiato su alpi, prealpi e grandi laghi, terreno in parte ostico, ferrate non estreme, laghetti alpini, solitudine, buon dislivello e, cosa per me importante, non si sta mai a fondo valle, si sta sempre su a filo creste, passando di bocchetta in bocchetta. Questo fa si che per fare l’AVL serva allenamento e propensione per la montagna, e questo che la si voglia fare in quattro giorni così come in uno (anche se per farla in giornata servono un allenamento, una conoscenza dei luoghi e delle capacità tecniche assolutamente adeguate).
Era da un po’ che mi bazzicava in testa di fare l’AVL in giornata di corsa, almeno da quando la feci in tre giorni con mio fratello anni fa. Questo mercoledi 5 agosto è stato tanto improvvisato (ho deciso martedì) quanto perfetto (leggermente ventilato e limpido).
A San Bartolomeo di Bugiallo (quota 1.220m), partenza ufficiale del percorso, faceva addirittura freschino (ore 6:40), tanto che sono partito con un gilet e i manicotti visto che il vento era fastidioso e non sapevo se in cresta sarebbe stato peggio. La salita inizia facile, nel bosco, e fino all’Alpe di Mezzo si arriva agevolmente, poco prima dell’Alpe trovo tre ragazze ad inizio prima tappa, che supero e saluto. Inizio a vedere il primo sole sopra di me e pregusto già i suoi raggi calorosi. Salendo, man mano, il vento si faceva sempre più debole e una volta arrivato al “terminone” avevo ormai raggiunto la temperatura perfetta: sole e leggera brezza ad accarezzarmi i capelli. Noto subito che il panorama è mozzafiato, raramente (o forse mai) ho trovato un cielo così limpido in estate. Dopo esser risalito dalla cresta, in 1h05′ sono ormai a fine salita, su ai 2.400m a ridosso della vetta del Sasso Canale. Qui l’ambiente è quasi ostile, sicuramente severo, fatto di sfasciumi che non danno grande affidabilità nel gesto della corsa, per questo faccio ampi passi di camminata con tutto il rispetto che la montagna impone. Nonostante l’attenzione, riesco comunque a gustarmi un Gheppio che fa lo “Spirito Santo” sfruttando il vento. Davvero stupendo.
All’ombra del costone la valle è buia, cupa e per certi versi inospitale. In completa solitudine, al fresco del mattino, ho iniziato a puntare verso il Ledù. L’intaglio di Ledù, da superare con una ferrata a cui è bene prestare attenzione, è assolutamente stupendo, si tocca quota 2.450m e per arrivare alla ferrata si deve superare una salita molto ripida su sfasciumi, in un largo canalone (come da immagine). Ci si sente davvero piccoli là in mezzo. In cima alla ferrata il mio orologio segnava 2h10′, in perfetto orario con la mia cronotabella mentale. In breve scendo verso il lago di Ledù, posto a ridosso del famoso bivacco, di certo uno dei posti più belli a famosi dell’intero percorso. Un breve cenno di saluto a chi ha probabilmente bivaccato li e vado verso il “taglio d’Inghirina”, che introduce nell’omonima valle. Qui la sensazione è ottima, corro bene e stupidissimamente mi distraggo, tanto da sbagliare strada leggermente, puntando verso valle. Per fortuna mi accorgo subito e ritorno sulla via corretta, perdendo una decina di minuti solamente. Ormai il sole è caldo e approfitto per mettere il gilet nello zaino e per riempire la borraccia da uno dei torrenti.
Arrivo al Lago Cavrigh (uno dei miei posti preferiti) in 3h spaccate. Il Lago Cavrigh è davvero intimo, quasi invisibile seppur di discrete dimensioni, un laghetto che impone tranquillità. Anche se ho già sue foto, non resisto e mi fermo qualche secondo per fargli una foto, per guardarlo e per fare un bel sospiro che sa di libertà. Li sopra il Monte Cavregasco, con la sua aria sempre incupita, è circondato da un cielo più azzurro dell’azzurro stesso.
La Bocchetta di San Pio che introduce al Lago Darengo è ormai vicinissima e la salgo di buon passo, la veduta del Lago da lassù è come al solito magnifica. La discesa verso Capanna Como è molto ripida e non mi da fiducia, quindi me la prendo comoda tagliando anche spesso sugli sfasciumi che si trovano qua e la, che mi danno più garanzie di tenuta. Sono in riva al laghetto e il Suunto segna 3h40 spaccate. Risalgo subito verso la Bocchetta dell’Orso e salendo tolgo i manicotti, ormai fa caldo e si sta davvero bene.
La salita è abbastanza ripida a tratti e salendo mi accorgo di aver messo i pantaloncini al contrario quel mattino (!!! – era buio, era presto, avevo sonno), così decido di girarmi e fare retrorunning fino alla fine (scherzo ovviamente, li tengo così e amen). La Bocchetta dell’Orso è bellissima, gli spazi sono moderatamente ristretti, la vista è molto bella ed introduce ad una valle ampia e selvaggia, dove visivamente non si riesce a capire dove possa passare il sentiero. Faccio molta attenzione fino al bivio per Cama e poi punto il “Mater de Paia”, che viene superato con “l’intensa” Ferrata di Mogn, che si raggiunge dritto per dritto passando per sfasciumi, dove entro deciso tanto da sorprendere delle capre intente a dormire sulle calde piode. Sono scappate di scatto, spaventate e spaventandomi.
La ferrata è molto bella, relativamente lunga e con passaggi che meritano attenzione. La discesa invece è brevissima ma molto stretta, in pochi passaggi da fare senza avere foga. Sicuramente l’attraversamento del “Mater de Paia” è uno dei passaggi più affascinanti ed impegnativi dell’intera AVL, un passaggio da gustare tutto anche perché da li in poi, il vallone sale quasi costantemente, anche se docilmente, verso il Cardinello. Il Cardinello è severo, ti porta ai suoi piedi con una salita lunga e lieve e, appena sotto allo scollinamento del suo costone, la salita si impenna improvvisamente, diventa ripidissima su grandi blocchi fino ai quasi 2.400m di quota.
Il Cardinello è il professore che decide se promuoverti o bocciarti, arriva dopo diverse ore di corsa o cammino, quando sei già stanco, ma si trova anche in un punto di percorso dove manca ancora molto alla fine (quindi moralmente è ancora dura). La sua salita è come detto molto impegnativa, e la sua successiva discesa riesce ad essere anche peggio, dove in un solo km si perdono quasi 350m di quota su un terreno misto prato/massi estremamente ripido e “sfasciumoso”.
Al Cardinello passo in 5h25′ e so che da li fino alla bocchetta di San Jorio dovrò superare quello che, per me, è il tratto di Alta Via più “noioso”, dove si raggiunge la quota più bassa (1.700m). Prima di arrivarci c’è un sentiero corribile a metà costa fin troppo erboso per i miei gusti, la salita che porta in Svizzera inizia in mezzo ad un prato con erba alta fino al busto. Fa caldo, forse l’unico momento della giornata in cui ho avuto caldo. Passata la bocchetta mi trovo all’ombra della triangolare “Punta di Valstorna”, che con i suoi 2.154m mi dona freschezza. Aggiro il lato Nord-Est della punta, il quale con una breve ma impegnativa salita mi butta sul suo lato Nord-Ovest, che punta verso l’ormai abbandonato Rifugio Cortin (dove non ho trovato acqua alla sua fontana purtroppo, obbligandomi ad usare i successivi Laghi di Roggio come abbeveratoio).Da qui inizia l’avvicinamento ai laghetti di Roggio, dove inizia la parte più decisa della salita che conduce alla Valle di San Jorio. Inutile dire che qui, ormai, mi sento a casa. Al Giovo il mio orologio segna 7h20′, devo percorrere solo la parte della Cavargna che conosco come le mie tasche, mentalmente sono arrivato. Fino a Sommafiume la strada militare si lascia correre anche abbastanza forte, poi da Sommafiume alla Bocchetta di Sengio c’è un ampio tratto facile tecnicamente ma con un sentiero spesso obliquo che tira fastidiosamente a valle, soprattutto a Nord del Pizzo di Gino. Questo tratto mi ha “demolito” più che tutto il resto, tanto che il tratto “Pizzo/Pianchette” mi sembra infinito.
Sono oggettivamente un po’ stanco e ho praticamente quasi finito il cibo, la borraccia l’ho riempita prima di Sommafiume e so che quell’acqua mi deve bastare fino al Rifugio Menaggio (di certo non mi fermo a Sant’Amate a riempire a pochi minuti dal Rifugio) e quindi decido di “tirare un po’ i remi in barca”, tanto alla fine sono in perfetto orario e la tratta Pianchette/Rifugio Menaggio è “breve”, la conosco bene e onestamente non mi importa metterci mezz’ora in più o in meno, ormai l’AVL in un giorno è fatta, devo solo arrivare.
I sentieri in Cavargna si lasciano correre facile, ma quando sei stanco tutte quelle zolle possono risultare pericolose per le caviglie, quindi la mia corsa già prudenziale fino a quel momento, diventa oltremodo accorta. Mi sembra interminabile il tratto Marnotto-Breganino, non so perchè, forse è la voglia di arrivare.
Dal Bregagnino scopro di avere ancora ottime gambe invece, scendo correndo il ripido pratone, tenendo bene, arrivando così agevolmente a Sant’Amate. La giornata è meravigliosa, il panorama sul Lario è davvero bello, Bellagio è contornato da un blu che sembra pittura, la gamba gira inaspettatamente bene, tanto che da Sant’Amate in 10’10” precisi arrivo al Rifugio Menaggio (non un record, ma quando ero al Pianchette temevo che sarei arrivato strisciando, invece forse ho amministrato anche fin troppo).
Al Rifugio Menaggio mi sono preso una Sprite e me la sono bevuta scendendo verso valle, soddisfatto, li mi attendeva Fulvio in auto.
Una volta seduto, mi sono accorto che ero in piedi ed in movimento dalle 6:40 del mattino, senza mai sedermi, appoggiarmi, fermarmi (se non per riempire la borraccia). E’ stato molto bello sentire qualcosa di morbido sotto le proprie natiche. Questa AVL in un giorno mi ha dato la possibilità di rivalutare la comodità dei sedili delle auto, che spesso vengono considerati scomodi. No, non sono scomodi, fidatevi.
La mia Alta via del Lario si chiude in 641 minuti (10h41′). L’averla terminata in giornata, con un ritmo ottimo ma che mi ha anche concesso di gustarmela, è stata sicuramente una cosa che mi ha riempito di soddisfazione.
*un grazie speciale alle Marmotte, colpevolmente mai citate in questo scritto. Con i loro fischi mi hanno tifato quasi costantemente lungo tutta la tratta. Un esempio di grande sportività.
Manuel Bonardi