Non è facile essere Fabio Di Giacomo. Forse in molti inconsciamente ci hanno provato, ma poi hanno capito che non è facile. Essere Fabio Di Giacomo significa essere un atleta migratore, capace di spostamenti lunghi per partecipare a gare che, seppur pare paradossale, a volte sono ancora più lunghe del tragitto stesso fatto per raggiungerle.
Gare che sono viaggi, ma che alla fine consacrano comunque un vincitore; il fatto che negli anni, nelle varie gare, spesso questo vincitore sia stato proprio lui, significa che l’unione di sue marcate caratteristiche, ovvero della curiosità, che è la base dell’ultratrailer, e della capacità atletica, che è la base dello sportivo, ha generato questo atleta “roccioso” mentalmente e fisicamente.
Un atleta che è stato scavato dalla terra che gli è scorsa sotto ai piedi per migliaia di ore, dalla pioggia che gli ha bagnato il corpo, dal buio che ha caratterizzato moltissime sue gare, dal sole che lo ha colpito coi suoi raggi e dai boschi che tutt’attorno a lui si muovevano, mentre Fabio era impegnato a correrci in mezzo.
E viene da pensare che gli elementi naturali siano proprio la ricarica di Fabio: il vento che accarezza le foglie e che poi lo colpisce gli dona anche la forza di quell’albero, e con questa alchimia di energie prelevate dalla terra, dall’aria e dall’acqua, Fabio a volte sembra in possesso di una forza inesauribile.
Traspare dalle parole che ci ha donato nell’intervista, che per lui la corsa è una forma d’arte, è come la danza di un pennello su di una tela inizialmente bianca, dove è il corpo che muovendosi riesce a disegnare dei percorsi, riesce a dar vita ad un viaggio che fino a quel momento era solo nella sua mente, nella sua fantasia, una fantasia che, come scoprirete dalle sue parole, è più viva che mai.
Leggere le parole di Fabio è come entrare in una visione onirica della corsa, e forse proprio per questo alla fine dell’intervista scoprirete che dieci domande non sono abbastanza per scoprire totalmente il suo personaggio. Ma è inutile dilungarsi in spiegazioni che non riuscirebbero comunque a dare una cornice al suo quadro sportivo, quindi vi lasciamo alle sue parole ed al suo stile così splendidamente artistico … ecco le dieci risposte di Fabio Di Giacomo.
Partiamo forte Fabio, la prima domanda è senza giri di parole. Perché lunghe? Perché sei attirato dalle gare da un certo chilometraggio in su?
Non è facile rispondere a questa domanda, e non posso certo dire che era un desiderio di quando ho iniziato a correre: é stato un lungo viaggio di avvicinamento alla lunga distanza.
Cercando su YouTube video di gare di corsa, rimasi folgorato nel vederne una in particolare. Era il 2014 e correvo da meno di un anno e non sapevo bene cosa volessi fare, quando vidi Killian e Luis Alberto correre di notte attraverso le 52 gallerie del Pasubio alla Trans d’Havet dell’edizione precedente . Non mi sembrava vero che potesse esserci una cosa così “figa” da fare, ma decisi che volevo a tutti i costi parteciparvi. Io sono originario della provincia di Vicenza, e da casa mia vedo il monte Summano, prima salita della della TDH, e inoltre lavoravo a poche decine di metri dalla partenza di Piovene Rocchette.
Solo che ritenevo 80km troppo prematuri, e di conseguenza in quell’anno optai per la versione corta, che poi non si svolse perché durante la notte il maltempo costrinse gli organizzatori a interrompere la manifestazione. Mi riproposi quindi di tornare l’anno successivo per fare però la versione lunga di 80km. Da lì poi il passo per arrivare a fare la Lavaredo Ultra Trail è stato semplice, anche se il primo vero anno con le lunghe distanze è stato il 2017, dove oltre alla LUT partecipai anche a “ABBOTS WAY” , “TRANGRANCANARIA” e poi UTMB.
Direi che è stato un lungo cammino di avvicinamento, di consapevolezza e di adattamento, perché le Ultra non sono scontate, non conta finirle una volta, bisogna provarci, ed è importante tagliare il traguardo come imparare dai ritiri che possono capitare e che insegnano più di ogni altra cosa, perché bisogna fare i conti con se stessi.
Tu sei uno che fa tantissime gare lunghe ogni anno, come fai a gestirle e recuperarle per riuscire ad inanellarle una dopo l’altra? Segui un certo tipo di alimentazione, fai massaggi, riposi molto o altro? Dicci dicci …
Innanzitutto cerco di non lasciare niente al caso, perché le gare di lunga distanza mettono alla prova non solo fisicamente, ma anche e soprattutto mentalmente. Quindi la prima regola è stata quella di arrivarci per gradi, non forzando le tappe e facendo in modo di adattare il corpo a questo tipo di sforzi. E poi facendomi seguire da dei coach, per fare la preparazione atletica e la gestione degli obiettivi durante l’anno. E poi tanta esperienza fatta nelle gare, prendendo anche delle sonore bastonate, che forse sono quelle che più di tutto aiutano a crescere, e a fortificare la mente. Naturalmente l’alimentazione ha un ruolo importante, perché se si vuole ottenere il massimo dal proprio corpo, dev’essere sano e pronto a sostenerti, e la regola che seguo è quella del buon senso: alimentazione sana ed equilibrata senza farmi mancare a volte qualche piccolo peccato di gola. Mentre come massaggi e stretching, pilates o altra attività che farebbero benissimo per recupero e per renderci più idonei per l’endurance, non faccio tanto, e direi soprattutto per pigrizia …
Mentre riesco un di più a calibrare dei periodi di riposo, sopraffini momenti in cui affronto un periodo intenso di gare, ascoltando quello che mi dice il fisico e mettendo qualche giornata di riposo assoluto che, come un detto popolare dice, non ha mai fatto del male!
Se ti chiedessi di rispondermi non con la testa, ma con il cuore, cosa risponderesti alla domanda: cos’è la corsa?
La corsa è un compimento. Mi fa stare bene, fisicamente e mentalmente: mi fa svagare quando sono pensieroso, o pensare quando voglio riflettere, mi fa stare in forma. Quando non corro, mi sembra sempre che mi manchi qualcosa. E poi mi permette di volare con la fantasia e di inventarmi dei giri su carta poi da realizzare, di guardare e di apprezzare la natura con occhi diversi … insomma, bisogna provare a correre per poter capirne a pieno la grandissima portata e i benefici che da
Oltre alla corsa, coltivi altri hobby? Cosa ti piace fare?
Certo, e non posso di sicuro definirlo un hobby! Se per passione sono un runners, per vocazione sono un artista, lavorando marmo e pietre principalmente, il legno ma anche dipingendo.
Prima di iniziare a correre, tutto il tempo libero che riuscivo a ritagliarmi lo impiegavo in laboratorio a creare sculture, oggetti, lampade e qualsiasi cosa la fantasia mi illuminasse la mente. Poi è arrivata la corsa che pian piano ha fagocitato sempre di più il tempo fino ad arrivare ad oggi, dove sto tentando di trovare un giusto equilibrio tra le mie varie pulsioni.
Da dove deriva la tua passione per la scultura e la pittura?
Ho frequentato l’istituto d’Arte e questo mi ha dato modo di conoscere e di apprezzare l’Arte, e quindi pittura e scultura. Poi però non ho proseguito gli studi all’università dove il desiderio era fare l’Accademia delle Belle Arti a Firenze, andando invece a lavorare in un marmificio, dove ho imparato innanzitutto un mestiere, ma soprattutto ho conosciuto e ho trovato la mia strada con la lavorazione del marmo, che mi permette di dar sfogo a tutta la mia creatività. Poi è “arrivata” la corsa che mi ha dato e mi da tutt’ora enormi soddisfazioni, ma la lavorazione del marmo resta la mia più grande passione.
La tua vena artistica in questo 2021 ti ha portato a scrivere anche una sorta di almanacco delle tue gare, che poi hai fatto rilegare e stampare. Come è nata questa idea?
In realtà non avevo intenzione di pubblicare niente, ma durante il 2021 si sono intersecate delle dinamiche inaspettate che invece hanno cambiato le carte in tavola. Mi spiego meglio: la stagione era partita come gli anni precedenti, quindi obiettivi, pianificazioni, allenamenti e quant’altro. Poi però per il secondo anno di fila la pandemia ha scombussolato le cose, soprattutto tra febbraio ed aprile, facendo saltate gare ed obiettivi a cui tenevo. Ho iniziato quindi, quando poi le cose si sono più o meno normalizzate, a vivere le gare con occhi diversi, cercando di tramettere le emozioni che i territori in cui correvo mi davano e che al contempo visitavo e letteralmente assaporavo in racconti che poi pubblicavo sui social.
Pensavo però che sarebbe stato più bello riunirli tutti assieme in un formato cartaceo corredato da foto, ed in mio soccorso è arrivato il fondamentale aiuto di Paola, amica e designer con cui collaboro anche ad altri progetti, che mi ha dato la possibilità di realizzare concretamente questo Diario, dedicato poi alla mia famiglia e a tutte le persone care che ho avuto modo di conoscere in tutti questi anni di gare e di viaggi.
Tornando al mondo della corsa agonistica, qual’é stata la gara che più ti è rimasta nel cuore, e perché?
Prima di quest’anno ti avrei sicuramente detto la Trans d’Havet corsa nel 2016 e vinta da outsider, assieme a Danilo Lanternino, dopo un viaggio lungo 80km. L’ho sempre considerata la vera gara di casa e perciò del cuore: l’arrivo con la mia famiglia e amici che mi aspettavano non ha prezzo! Emozioni indelebili e indimenticabili. Però devo ammettere che quest’anno la 100 miglia del Tuscany Crossing mi ha dato un incredibile carico di emozioni, tanto da ricordarla con profondo affetto e rivaleggiare con la TDH del 2016.
Hai mai pensato al Tor de Geants?
Certo! È una delle prime gare che sono venuto a conoscere quando ho iniziato a correre, e al tempo mi sembrava una cosa inumana riferita a me stesso, pensando che non potesse essere un’esperienza che potessi portare a termine. Poi però ho iniziato ad avvicinarmi sempre più alle gare di lunga distanza, e il Tor ha iniziato ad essere un idea sempre più completa, fino ad arrivare ad iscrivermi nel 2019, salvo poi rinunciare dopo delle prestazioni di preparazione molto negative, le quali mi hanno fatto dubitare di poter portare a termine una competizione così impegnativa. Soprattutto penso che contino tantissimo le motivazioni e la determinazione per concludere il Tor, e io in quel momento dubitavo troppo di me stesso e non me la sono sentita.
Corri spesso su strada? Hai già corso maratone e che programmi hai per il futuro legati all’asfalto?
Un po’ per necessità è un po’ per scelta su strada ci corro quasi tutti i giorni in settimana. Ho corso per anni nella periferia di Milano vicino a dove lavoravo, tra condomini, viali, traffico e nebbia. Maratone ne ho corse quattro, il desiderio sarebbe invece quello di correre la 100km del Passatore. Mi è capitato di fare in allenamento 100km su strada in solitaria, e un altro progetto è quello di fare il giro del lago Maggiore, di circa 160km.
Cosa ti aspetti dal 2022 a livello sportivo e non?
Più che aspettare, mi voglio riproporre di portare a termine dei progetti. Dal punto di vista sportivo, spero di poter realizzare il desiderio di correre negli Stati Uniti prendendo parte a LEADVILLE 100 miglia in Colorado a fine agosto, e quindi una stagione agonistica focalizzata su questo obiettivo, senza tralasciare altri appuntamenti importanti a cui tengo come Ultrabericus, Tuscany 100 miglia e Lavaredo Ultra Trail, cercando di dedicarci il giusto tempo e le giuste energie.
A fianco dell’aspetto agonistico, voglio portare avanti con ancora maggior determinazione il mio percorso creativo, che sta portando una nuova vitalità ed entusiasmo. L’unica pecca è non aver tutto il tempo necessario che vorrei e di cui avrei bisogno, e quindi la sfida è cercare di trovare la giusta quadra tra vita lavorativa, vita affettiva, vita sportiva e vita artistica….perché penso sarebbe triste lasciare indietro qualcosa che ci appassiona. Se si vuole, si fa’ …